Eracle e le 12 fatiche
Lastra di sarcofago romano con le 12 fatiche |
Le vicende di Eracle costituiscono il
complesso mitico più ampio e articolato. I punti fondamentali della sua figura
sono già definiti nei poemi omerici: nell'Odissea Odisseo incontra Eracle
nell'oltretomba (si trattava dell'ombra in quanto l'eroe era assunto
all'olimpo). La doppia natura umana e divina ha permesso gli autori di
concentrarsi di volta in volta sulle sue caratteristiche più umane o più
divine. Personaggio principale della grande meditazione sul destino dell'uomo:
ciclicità di grandezza e miseria, fortuna e disgrazia ne fanno il simbolo della
natura contraddittoria dell'uomo. Il peso del dovere e la spossatezza
dell'eroismo sono i fili che uniscono l'intera creazione mitica sulla figura di
Eracle: le sue avventure sono sì vittoriose ma non trionfanti e sempre condizionata
dalla necessità di reagire a un torto o dall'imposizione altrui. Il mito delle
dodici fatiche imposte da Euristeo, perché l'eroe potesse purificarsi
dall'assassino dei figli, è inutile della tradizione narrativa su Eracle.
La
prima fatica: il leone Nemeo (Teocrito)
Mentre stava camminando con Fileo
quest'ultimo gli chiese se fosse stato lui a uccidere il leone Nemeo e, dopo
aver ricevuto risposta positiva, di raccontargliene la storia. Nell'Argolide
c'era una valle chiamata Nemea dove viveva (in una grotta) un mostruoso leone,
nato da Tifone e dal Echidna, che devastava paesi, uccideva animale e uomini,
di cui tutti gli uomini avevano paura. Questo leone era invulnerabile, nessuna
arma era capace di scalfire la sua durissima pelle. Euristeo comandò ad Ercole
che gli portasse la pelle di questo leone. Ercole, dopo aver provato
inutilmente con le frecce, affrontò il leone solo con la sua clava e il suo
coraggio. Ercole lo stordì con la clava e, dopo averlo strangolato, lo squartò
(sotto suggerimento divino). Eracle prese la pelle che, una volta indossata, lo
rese quasi invulnerabile come il leone.
La
seconda fatica: l'Idra di Lerna (Apollodoro)
"Eracle e l'Idra di Lerna" Pollaiolo |
Euristeo gli ordinò uccidere l'idra di
Lerna. I pastori e contadini della zona dicevano che il mostro avesse nove
teste, nove bocche fameliche e diciotto occhi di fiamma; quando usciva dalla
tana, devastava tutto e divorava greggi e mandrie. Ercole si recò a Lerna con
il suo fedele compagno Iolao. Per far uscire dalla tana l'idra lanciò delle
frecce infuocate, appena questa sbucò fuori con la sua clava riuscì ad
abbattere due o tre teste, si accorse però che dal sangue delle teste abbattute
nascevano due teste nuove. Ordinò allora a Iolao, di appiccare il fuoco a un
gruppo di alberi e di bruciare le teste nuove che sbucavano con un tizzone
ardente. In tal modo Ercole ebbe partita vinta. Prima di andarsene, intinse le
sue frecce nel sangue delle ferite dell'idra e le frecce diventarono subito
velenose.
La
terza fatica: la cerva di Cerinea (Apollodoro)
Euristeo, stupito per l'eccezionale
valore di Ercole, decise di affidargli una terza impresa. Nei pressi della
regione di Cerinea viveva una splendida cerva, dalle corna d'oro, che fuggiva
senza mai fermarsi. Poiché essa era una cerva sacra il suo sangue non poteva
essere assolutamente sparso, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla. La
frenetica corsa durò circa un anno, sconfitto in ogni tentativo di
raggiungerla, non gli rimase altra scelta che ferire leggermente l'agile cerva
con una freccia, in un punto della gamba cartilagineo, quindi privo di vasi
sanguinei; poi caricandosela sulle spalle la riportò in patria. Lungo la strada
del ritorno incappò in Artemide, infuriata con lui per aver ferito una bestia a
lei sacra: ma l'eroe riuscì a placare le sue ire e ottenne da lei il permesso di
portare la cerva ad Euristeo.
La
quarta fatica: il cinghiale di Erimanto (Apollodoro)
Dalle selvagge pendici del monte
Erimanto, in Arcadia, un enorme cinghiale devastava le campagne circostanti:
Ercole, inviato da Euristeo a neutralizzare la belva, fu ospitato lungo la
strada dal centauro Folo che, onorando i doveri di ospitalità, offrì all’eroe
carni arrostite e del vino che teneva gelosamente custodito in una giara.
Tuttavia, inebriati dall’odore della bevanda, gli altri Centauri persero il
senno e si scagliarono contro i due, ma Ercole, con le sue frecce micidiali, ne
fece strage. Nella foga dell'inseguimento, durante il quale scagliava frecce
contro i centauri, colpì Chirone (suo amico) con una di queste e siccome erano
frecce velenose, il povero Chirone morì. Raggiunto il monte Erimanto, l’eroe
stanò il cinghiale, gli saltò in groppa, lo legò con pesanti catene e se lo
caricò sulle spalle fino a Micene.
La
quinta fatica: le stalle di Augia (Apollodoro)
La quinta impresa delle fatiche di
Eracle consistette nella pulizia delle stalle in un solo giorno, su ordine di
Euristeo così Eracle disse al re Augia che avrebbe ripulito lo sterco dalle sue
enormi stalle prima del calar del sole ed in cambio gli chiese un decimo di
tutto il suo bestiame. Il re incredulo accettò la scommessa e i due giurarono
sul loro accordo. Eracle aprì due brecce nei muri delle stalle e deviò il corso
dei vicini fiumi Alfeo e Peneo e le acque impetuose invasero le enormi stalle e
i cortili spazzando via lo sterco fino alle valli del pascolo. Così Eracle compì la sua quinta fatica
ripulendo l'intera terra dell'Elide senza nemmeno sporcarsi. Terminato il
lavoro Eracle chiese al re Augia la ricompensa promessa, ma questi rifiutò
dicendo che non era stato Eracle a ripulire le stalle bensì i fiumi e
sostenendo di essere stato da lui ingannato. Eracle chiese che la controversia
fosse sottoposta a giudizio che però fu a suo svantaggio e venne scacciato
dall'Elide. Infine Euristeo non considerò valida la fatica poiché Eracle ne
avrebbe ricevuto un compenso.
La
sesta fatica: gli uccelli Stinfali (Apollodoro)
La sesta fatica di Eracle, scelta dal
sovrano Euristeo, consisteva nello scacciare gli uccelli della Palude di
Stinfalo. Mentre si arrovellava su come compiere la sua missione, gli apparve
Atena, che gli confidò che il punto debole degli uccelli della palude di
Stinfalo risiedeva nel loro udito. Così gli fece dono di un paio di nacchere
forgiate dal dio Efesto in persona. Grazie alla forza di Eracle, quando le
nacchere vennero percosse, si generò un boato assordante, che fece levare in
volo lo stormo di uccelli bronzei in preda al panico. Non appena si furono
alzati a tiro d freccia, Eracle ne fece scempio con arco e frecce imbevute del
veleno dell’Idra di Lerna.
La
settima fatica: il toro di Creta (Apollodoro)
"Eracle costringe il toro di Creta a terra" B. Picart |
Il Toro di Creta aveva l'aspetto di un
toro di grandi dimensioni. Il Minotauro nacque da questo e da Pasifae. La
cattura del Toro di Creta fu la settima delle dodici fatiche di Eracle.Il
mitico re di Creta, Minosse, concesse senza problemi all'eroe di portar via il
feroce animale, dato che aveva creato problemi a Creta. Eracle riuscì a
catturarlo vivo soffocandolo con le mani, e lo portò con sé ad Atene. Qui
Euristeo avrebbe voluto sacrificare l'animale ad Era, che odiava Eracle. Costei
rifiutò perciò il sacrificio, per non riconoscere la gloria di Eracle. Il toro
fu quindi lasciato libero di vagare, finché si fermò a Maratona, diventando
noto come "toro di Maratona".
L’ottava
fatica: le cavalle di Diomede (Apollodoro)
Le quattro cavalle erano nutrite con
la carne umana degli di stranieri di passaggio da Diomede, re di Tracia e
figlio di Marte che governava sui bellicosi Bistoni. Con un piccolo gruppo di
volontari, Eracle arrivò in Tracia, e giunto Tirida sopraffece gli stallieri di
Diomede e condusse le cavalle sulla riva del mare. Sconfitti i Bistoni, Eracle
stordì Diomede con un colpo di clava, e nè trascinò il corpo lunghe le rive del
lago artificiale e lo gettò in pasto alle cavalle, che lo divorarono ancora
vivo. Così dopo aver placato la fame delle bestie, Eracle poté domarle
facilmente.
La
nona fatica: il cinto di Ippolita (Apollodoro)
La nona impresa dell'eroe consisteva
nell'impossessarsi della cintura di Ippolita desiderata dalla figlia di
Euristeo, Admeta. Ippolita era la regina delle amazzoni, le famose guerriere a
cavallo che vivevano attorno al mar nero che si amputavano la mammella destra
per non essere impedite nel tiro dell’arco e nel lancio delle frecce. Le
Amazzoni ammettevano tra loro gli uomini solo per i lavori domestici e per la
riproduzione. Attratta dall'eroe, Ippolita le diede il cinto d’ oro, dono del
padre Ares, quale pegno d’amore. Era, però, travestita da Amazzone, diffuse la
notizia che Eracle voleva rapire Ippolita e incitò le donne guerriere alla
lotta. Nel furioso combattimento che seguì, l’eroe uccise la regina (pensava
l'avesse tradita). Secondo altre
versioni sposò Teseo e fu la madre di Ippolito.
La
decima fatica: i buoi di Gerione (Apollodoro)
Gerione, il più forte tra i mortali,
dimorava in Erizia. Era un mostro alato con tre teste, tre corpi e sei braccia.
Teatro della lotta era l’estremo occidente dove Eracle eresse due colonne una
di fronte all’altra, una in Europa nel monte Calpe, e la seconda in Africa sul
monte Abila. Eracle era giunto lì con l’aiuto del dio Elio che gli diede la
coppa d'oro per attraversare Oceano. Giunto a destinazione Ercole riuscì ad
avere la meglio su Gerione e sul mandriano Eurizione, che custodiva gli animali
insieme a una cane a due teste. Dopo averli portati a Euristeo lui li sacrificò
ad Era.
L’undicesima
fatica: i pomi dell’Esperidi (Apollodoro)
Eracle del Foro Boario |
I pomi delle Esperidi erano dei
meravigliosi frutti d’oro che Ercole doveva cogliere da un melo, dono di nozze
della Madre Terra ad Era, che sorgeva in un giardino alle pendici del Monte
Atlante, custodito dalle ninfe Esperidi, la mitica montagna presso cui il
gigante Atlante sosteneva sulle sue spalle il peso della volta celeste. Prima
di potersi impossessare delle mele, Ercole dovette, però, combattere contro il
drago a cento teste che faceva da guardia al giardino (Eracle lo uccise con le
frecce avvelenate nel sangue dell’Idra di Lerna). Prometeo gli consigliò di non
cogliere personalmente i pomi ma di affidare tale operazione ad Atlante. Il
gigante fu ben felice di aiutarlo e di cedere ad Ercole, aiutato da Atena,
l’enorme peso del cielo. Tornò a Micene con le mele d’oro, ma Euristeo non
volle accettarle, per non attirare l’ira di Era alla quale furono restituite.
La
dodicesima fatica: la cattura di Cerbero (Apollodoro)
Ultima e più faticosa impresa fu la
cattura di Cerbero, l’enorme cane a tre teste che custodiva l’accesso al regno
dei morti. Dopo essersi purificato presso il santuario di Eleusi, Ercole scese
negli Inferi presso capo Tenaro, in Laconia, guidato da Atena ed Ermes. Attraversato
lo Stige con il traghettatore Caronte, Ercole incontrò l’eroe defunto Meleagro
che gli narrò la bellezza della sorella Deianira: l’eroe promise di sposarla. Liberò
Teseo, imprigionato per aver tentato di rapire Persefone, poi giunse al
cospetto di Ade che gli diede il permesso di portare Cerbero a Micene, purché
lo catturasse senza usare alcuna arma. Afferrandolo per la gola, Ercole riuscì
a domare il terribile mostro e portarlo così a Micene, dove Euristeo già da
tempo si era nascosto terrorizzato nella sua giara. Dimostrato il successo
dell’impresa, come promesso, l’eroe riportò il mastino al suo compito,
nell’Ade.
Bibliografia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Augia
https://it.wikipedia.org/wiki/Cerva_di_Cerinea
https://it.wikipedia.org/wiki/Eracle
"Le Parole del Mito" di Marina Cavalli
https://deieglieroidellagrecia.jimdofree.com/
http://web.tiscali.it/mitologia/Eracle.htm
http://www.comune.bologna.it/iperbole/llgalv/iperte/mito/eroi/ercolefa_1.htm
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