Adolphe Appia

Adolphe Appia, (1862-1928) è stato uno scenografo svizzero 
Il padre fu uno dei fondatori della Croce Rossa Internazionale, il fratello maggiore uno stimato banchiere. Appia non ebbe con i familiari un rapporto di affetto profondo, anzi, la sua indole lo rese ben presto la pecora nera, tanto che la sorella Helene fu l’unica a mostrare comprensione nei suoi confronti e ad aiutarlo economicamente, di nascosto, nonostante il loro rapporto spesso conflittuale. Alla morte di lui, fu sempre e solo Helene a raccoglierne e conservarne gli scritti e i disegni, andati successivamente distrutti per mano della nipote di Appia, la figlia del fratello maggiore, il quale, al contrario della sorella, non amava che la propria rispettabilità di banchiere venisse messa in discussione dall’accidentale parentela con lo scenografo. Appia studiò al collegio di Vevey fino al 1879. In seguito si dedicò allo studio della musica, trasferendosi dapprima in un conservatorio di Parigi, poi Lipsia, Dresda, Zurigo, Vienna, Ginevra. Colpito dalla musica di Richard Wagner e dalla sua idea di opera d'arte totale, elaborò una personale visione dell'allestimento scenico, nel quale varie arti devono concorrere per un risultato omogeneo e unico: abbandonò così l'idea della centralità della parola dell'attore a favore dell'apparato scenografico. Egli riteneva che la musica doveva, con i suoi ritmi, a definire il tempo, a determinare fisicamente la durata di azione e parlato, che dovevano inserirsi armoniosamente nel flusso sonoro di note e pause, come imbrigliati in uno schema. 
Espaces Rythmics 1909
Allo stesso modo essa doveva determinare lo spazio. Così come imponeva il tempo, doveva imporre all’attore il movimento e la misura dei gesti. Appia immagina una scena essenziale e fisica, in cui l’attore possa muoversi in profondità senza “sbugiardare” l’illusione ottica della prospettiva dei pannelli posteriori. Pertanto la sua scena è costituita da praticabili, ossia da elementi che l’attore può percorrere e calpestare, quali scale, gradini, piani inclinati, che offrano resistenza alla sua corporeità e interagiscano con i suoi movimenti. Questi pochi elementi tridimensionali contro i quali la luce, opportunamente diretta e manovrata, creava atmosfere e suggestioni fino ad allora mai viste sono elementi tipici dello stile di Appia. Nelle sue opere la luce infatti aveva un ruolo fondamentale, con essa era capace di sottolineare la volumetria delle masse con dosate proiezioni d’ombra. Pura, astratta, simbolica, la luce si esprime nel rapporto con le ombre vere e mutevoli che delinea sui volumi di scena. Erano quelli infatti gli anni in cui si era diffuso l’impiego della luce elettrica nei teatri, che permetteva cambi di illuminazione repentini e drastici in sala; Appia ne intuì e applicò il potenziale sulla scena.

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